Mi raccontava Lindbergh che il decollo ha sempre rappresentato per lui un motivo di ansia che svaniva solo quando il carrello, con un ultimo sussulto, lasciava la terra per non più ricadervi. Ecco, diceva: il tempo che intercorre tra quell’ultimo tonfo e il momento in cui capisci che non ve ne sarà un altro è il più lungo di cui un uomo possa avere esperienza. Tranne forse quello che segue quando la moglie ti dice: “Dobbiamo parlare”.
In natura esistono innumerevoli momenti di questo genere; non quello della moglie ma quelli dei primi voli, sia che si parta da grandi altezze, sia quelli, forse più faticosi, in cui devi vincere la gravità partendo da terra e conquistando ogni centimetro di cielo guadagnato con il sudore della fronte. O con quello che per gli uccelli rappresenta la fatica.
Oggi ho assistito ad atterraggi simili a quelli dei caccia sulle portaerei, giù il carrello e flaps in posizione, sia decolli scomposti nei quali ti ritrovi a fare il tifo per il povero pennuto che, come raccontava Lindbergh, saltellando sull’acqua, anelava a quell’ultimo balzo per vincere la gravità.
bella questa rappresentazione plastica dell’inizio del volo.