Sono stato a Hay-on-Wye qualche tempo fa e ne ho un ricordo talmente vivido come pochi luoghi mi hanno ispirato. Un piccolo paese fatto di libri, diventato “principato autonomo” per volere di un vecchio libraio del luogo, con tanto di balzello (simbolico) da pagare quando si attraversa il fiume Wye per passare dal Galles all’Inghilterra. Tornato a casa, per un classico caso di serendipità, mi sono imbattuto nel libro di Paul Collins che mi ha fatto rivivere quei momenti.
Mese: Novembre 2018
Amiche
C’era una volta una coppia di tazzine da caffè, nate insieme come spesso accade nel mondo e finite nella vetrina di un piccolo negozio del sud in riva al mare. A differenza di molte altre colleghe, non erano particolarmente appariscenti ma possedevano un fascino discreto che le distingueva dalle altre ceramiche del negozio. Si chiamavano Tilly e Potty ma nessuno guardandole ha mai saputo distinguerle.
E’ forse per questo motivo che due ragazze in vacanza le vollero per sé e le comprarono in un assolato pomeriggio di luglio, portandole poi nella loro casa comune al ritorno dalla vacanza. Da quel momento, per le due iniziò un periodo di vita tutto sommato abitudinario, consumato attraverso i consueti riti delle colazioni e del caffè preso dopo pranzo. Le uniche ventate di novità erano costituite dall’occasionale cambio di detersivo o dalla marca di caffè usata.
Tutto questo, giorno dopo giorno, finché le due ragazze si separarono, portate lontano dalle cose della vita, decidendo ognuna di portare con se una tazzina come ricordo. Questo fatto, sebbene importante per gli esseri umani, fu un trauma per le due tazzine che ormai si consideravano sorelle inseparabili. Il giorno della partenza di Tilly costituì per loro un momento di nuova consapevolezza, una rinascita: scoprirono di poter comunicare tra loro nonostante la distanza andasse via via aumentando e, col procedere di questa nuova coscienza, presero a parlarsi come raramente avevano fatto quando erano una accanto all’altra.
Si raccontarono della nuova casa, delle altre colleghe di cucina con cui Tilly era capitata; il suo nuovo mondo era così popolato da bicchieri lucenti tutti impettiti e fieri della propria brillantezza, dalla teiera cicciottella che inventava favole per le tazzine da tè e da un’infinità di altri personaggi tutti da scoprire. Questi racconti facevano sentire meno sola Potty che si doveva accontentare della vita tranquilla di sempre.
Un giorno Tilly perse il proprio piattino. Non si sa come successe, forse uno dei soliti banali incidenti che succedono nelle case. La ragazza, ormai donna si fermò a guardare la scena e una lacrima le scese dagli occhi per il dispiacere di aver rotto un vecchio ricordo; Tilly, sorpresa dal frastuono capì subito cosa fosse capitato e raccolse d’istinto quella lacrima facendola propria.
In quell’istante Potty si svegliò e, scossa da un lungo brivido, capì quello che era successo. Sulle prime sembrava che la cosa non avesse avuto altre conseguenze, ma la mattina dopo le due amiche si svegliarono alla stessa ora e, compiendo gli stessi gesti assonnati, si ritrovarono in cucina a preparare il caffè. Lo versarono contemporaneamente, mescolandolo adagio e, col medesimo gesto, si portarono la tazzina alle labbra.
Dopo un lieve soffio dato sopra pensiero al caffè fumante, bevvero insieme il primo sorso e improvvisamente nelle loro teste si accavallarono pensieri in parte estranei e in parte familiari: voci, ricordi, colori, dolori e sorrisi. Le due amiche si erano ritrovate e da quel momento ebbero un modo in più per stare insieme mentre Tilly e Potty trovarono felici una nuova ragione di vita.
Questa storia me l’ha raccontata una zuccheriera mia amica con la quale sono entrato in confidenza, diventando il suo cucchiaino preferito. Mi ha detto che viene tramandata a tutti i nuovi abitanti della credenza dalla ceramica più anziana per renderli parte della nuova famiglia e mi ha colpito particolarmente perché io, nato in un servizio da dodici cucchiaini schiamazzanti e dispettosi, non ho mai vissuto momenti particolarmente tristi.
Ora però, avendo acquisito con gli anni una certa maturità, inizio a spiegarmi come mai io riesca a sentire piccoli gridolini quando qualche mio fratello viene immerso in un liquido particolarmente caldo o freddo. Ma questa è un’altra storia e ora vi lascio perché insieme ai miei fratelli andiamo tutti a giocare nel parco acquatico.
La signora, riempita la vaschetta di detersivo, chiuse lo sportello, impostò il programma e, acceso l’apparecchio, si allontanò canticchiando. Bella invenzione la lavastoviglie!
I Canti di Genova
Se Chatwin avesse visitato Genova avrebbe scritto “I Caruggi e i Canti”. I canti australiani che lo hanno ispirato evocano nei vecchi abitanti di Genova altri significati altrettanto poetici cui vanno con la memoria ogni volta che ne sentono il nome. Ormai più luoghi della mente in cui ritrovare la propria storia che gli angoli della vecchia città in cui si ritrovavano da giovani.
Oggi la mia fantasia di viaggiatore percorre Strada Nuova con lo sguardo rivolto verso l’alto e guarda la Meridiana per orientarsi nel tempo. Poi sente l’odore del mare e imbocca la discesa trovando i Canti, la Posta Vecchia, la Pellicceria e le Vigne fino al Coro.
Sono tutti nomi di un altro tempo in cui i genovesi vivevano la propria città vecchia fatta di vicoli angusti e palazzi augusti; oggi, imboccando via ai Quattro Canti di S.Francesco da piazza della Meridiana troviamo un lastricato pulito e i dehors di vecchi locali rinnovati, ma quando il vicolo si restringe restano i canti, gli angoli, che nel nome e nel ricordo portano con se una serena musicalità.
La luce filtra a fatica tra le case e si perde illuminando prima i vasi da fiori appesi alle finestre, i panni stesi tra un palazzo e l’altro e gli affreschi dei piani alti; oggi questi vicoli non odorano più di emarginazione ed abbandono, i turisti si aggirano con la cartina in mano districandosi in una selva di impalcature erette per le innumerevoli ristrutturazioni.
A ridosso del mare, tra le Vigne e S.Giorgio si assiste ad una invasione culturale che ha scalzato le vecchie attività commerciali storiche a favore delle nuove esigenze e tendenze degli abitanti di oggi che domani già si sposteranno altrove lasciando spazio a nuovi abitanti come è nelle caratteristiche delle città di mare.
I canti restano gli stessi nonostante gli echi di lingue diverse, il dialetto genovese è presente solo nei vecchi intonaci dei palazzi e nei marmi ed ardesie che ornano gli imponenti portoni patrizi. Per chi vi si aggira senza meta resta lo stupore che prende l’anima quando, dopo aver percorso con circospezione un vicolo buio, questo sfocia in una piazzetta assolata su cui si affacciano palazzi di una bellezza da piangere.
Si scoprono così in Pellicceria la Galleria Spinola, in piazza delle Vigne una chiesa stupenda e piccoli particolari dietro al Coro delle Vigne dove in un chiostro nascosto è nato lo scoutismo italiano.
E la sorpresa è destinata a durare perché nonostante il tempo dedicato a questa scoperta, ci si rende conto di aver esplorato solo una piccolissima parte della storia di Genova.