Cherie lo incontrò al termine del suo spettacolo, un tipo interessante, spavaldo, sicuramente rude ma con un sorriso che fa sparire ogni cosa nella stanza. Quando le si avvicinò, lei gli chiese: “Ehi, come ti chiami?” (non si capisce perché la domanda dovesse essere preceduta da “ehi” ma così fu e concediamo a lei, bella come il sole al tramonto, un momento di imbarazzo lessicale).
Lui, cotto come una pera dai modi sinuosi e provocanti di lei, rispose: “Bo”. Questo lasciò lei in evidente stato di perplessità, domandandosi per quale bizzarro caso della vita una persona non fosse a conoscenza del proprio nome; ci pensò su e quello che immaginò non le piacque. Allora scappò prendendo il primo autobus a caso, diretto chissà dove ma, nella speranza, lontano da quel personaggio alla ricerca di sé e della propria identità.
A nulla valse la corsa che fece perché lui, con due passi la raggiunse e salì a bordo proprio nell’istante in cui il mezzo partì. La storia poi narra di un sereno chiarimento tra i due ma ricorda, all’inizio, il dialogo tra Ulisse e Polifemo quando questi chiese a Ulisse: “Come ti chiami?” (all’epoca non si diceva “ehi”) che rispose: “Nessuno”.
Ecco: Cherie, per fortuna, non fu costretta a rispondere alla domanda dell’autista: “Chi ti sta inseguendo?” con un “Bo”.