Lo spezzatino

Oggi è la giornata giusta per lo spezzatino con patate, ricetta originale di Nonna, profumi e sapori compresi. Lo so, lo spezzatino non porta con sé quell’aura di gastronomia ricercata e anche le sue immagini ricordano più il brodo primordiale che una pietanza con una propria dignità espressiva ma, non a torto, è un comfort food, avendo la capacità come poche, di riportarti all’infanzia.

Una cottura a fuoco lento che mette insieme carne tagliata accuratamente a pezzettini, puliti e coccolati ad uno ad uno, infarinati e tuffati nel soffritto di battuto, inebriati mentre il vino sfuma e annegati nel brodo di carne che aiuterà la cottura. Le patate arrivano dopo, quando i giochi sembrano fatti e la carne pensa di essere pronta e unica protagonista; invece arrivano loro a sgomitare nella loro crudità, scansando i pezzi morbidi di carne, stufati e intontiti da infiniti giri ogni pochi minuti perché non si intrattengano troppo a lungo con il fondo del tegame. Una manciata di pinoli crea sempre un certo scompiglio quando viene messa in pentola ma poi, un nuovo bicchiere di brodo calma gli ardori e prolunga la cottura.

Alla fine occorre il riposo e, mentre il pane di casa si tosta leggermente, il vino di Piero viene aperto al momento giusto, la musica risuona in testa.

Pasta e fagioli

Pasta e fagioliOggi ho messo in tavola la Pasta e Fagioli. Mi piacerebbe dire che ne ho avuto ispirazione durante la notte ma, in realtà, era qualche giorno che l’idea mi ronzava in testa e oggi ho raggiunto il limite, quasi una reazione da astinenza. D’altra parte c’è la temperatura fredda al punto giusto, non un freddo da polenta, proprio un freddo da pasta e fagioli, con quella precisa tonalità di grigio del cielo, il monte Fasce nascosto e la pioggia indecisa su come inzuppare e svegliare il mondo.

Invece il mondo l’ho svegliato io sistemando la madia in cucina subito dopo il caffè per preparare la pasta: tre uova e tre etti di farina, giusto un assaggino. Sfoglia sottile ma non troppo, tagliata poi a mano volutamente storta perché, a volte, la geometria o la sua mancanza, rende le cose più buone.

Ho svegliato anche il tegame di terracotta dal suo torpore, raccontandogli cosa avrebbe fatto; lui, pensando al nobile Tocco alla genovese, immaginava di sguazzare in sughetti profumati e ho impiegato un po’ a fargli capire che oggi avrebbe avuto una missione diversa (si sa, è de coccio e tiene pure una certa età).

Chissà come avrebbe reagito se, al posto del fondo del prosciutto crudo, gli avessi presentato un intero osso da coccolare come avveniva quando, da ragazzo, dopo aver sistematicamente smantellato un prosciutto di Praga al forno, quello che ne restava (l’osso) veniva usato per insaporire la pasta e fagioli.

Un filo di olio, un battuto fresco, due fettine di lardo a disfarsi sul fondo del tegame e poi i fagioli, già sbollentati insieme agli stessi odori. E poi il prosciutto in un pezzettino intero. Generalmente è proprio a questo punto in cui qualcuno salta su per dire: “Ma nella vera ricetta non si fa così ma…”. Io ascolto con simpatia queste parole ma, visto che in tema di calcio e di cucina tutti hanno ragione e quindi non ce l’ha nessuno, ‘un m’importa quel che dite tanto fo come mi pare (cit.)

Non mescolo ingredienti ma ricordi e il profumo mi da ragione. Tengo da parte un po’ di fagioli interi e frullo il contenuto della terracotta, prosciutto escluso perché la sua missione è di rilasciare il suo sapore ma non di prevaricare. Aggiungo i fagioli interi e poi la pasta, aggiungendo un mestolo o due dell’acqua di cottura dei fagioli che, per merito degli odori è diventato brodo. Pochi minuti e la pasta accetta le lusinghe dei fagioli insaporendosi. Spengo il fuoco e lascio riposare il tegame dalla fatica.

Non ho detto del vino ma era sottinteso che la bottiglia fosse presente in cucina fin dall’inizio e questa volta no, non le ho parlato per non distrarla perché il Borlotto è fagiolo impegnativo e occorre concentrazione.

E poi, ho messo in tavola la Pasta e Fagioli, servita adagio nelle scodelle di coccio con un filo di olio e un nonnulla di pepe e versato il vino nei giusti bicchieri e respirato il profumo della giornata uggiosa.

Cappelletti in brodo

Cappelletti in brodoQuando in casa si preparavano i cappelletti significava che si avvicinava la festa. Ormai associo a questo nome strambo un rito antico che si svolgeva in enormi cucine tra madie e tavoli di marmo dei quali superavo a stento l’altezza, ma abbastanza per osservare in volo radente la sfoglia che diventava cappelletto con un gesto elegante e allora misterioso.

Ora quando li preparo mi vengono in mente quei gesti e quasi ricordo mia nonna cantare sotto voce mentre si dedicava alla sua arte. Chissà, forse l’ingrediente segreto è l’allegria di chi cucina. Prendo 3 etti di petto di cappone, li pulisco e taglio in piccoli pezzi  per farli cuocere in padella con olio e poco sale e una volta pronti li metto nel mixer insieme a 2 etti e mezzo di prosciutto crudo.

Aggiungo quindi un cucchiaio da cucina di parmigiano reggiano, una spolverata di noce moscata, un uovo e “una punta” di sale. Parte così la preparazione del ripieno che diventa morbido e omogeneo.

A questo punto la sfoglia. L’impasto è quello solito, fatto con 5 uova e 5 etti di farina. Stendo la sfoglia e mi procuro un bicchiere dal bordo sottile con cui inciderla per ricavare i tondini di pasta. Ricordo quello che ho letto sul libro di Pellegrino Artusi. Dice che il diametro deve essere di 67 millimetri. Il mio bicchiere di 5 centimetri si è rivelato comunque all’altezza della situazione.

Con la punta di un cucchiaino prendo un po’ di ripieno e lo posiziono nel centro del dischetto che, dopo averlo piegato a metà, avvolgo attorno al dito mignolo per darli la forma giusta. Occorre pazienza, ma il risultato ripaga del lavoro certosino.

Il brodo, fatto con carne e petto di pollo, crea l’ambiente adatto per la cottura ed esalta la fragranza della pasta e del ripieno.

In tavola, il piatto caldo è accompagnato dal vino. Questa volta, un ardito abbinamento con uno Chablis.