Amiche

C’era una volta una coppia di tazzine da caffè, nate insieme come spesso accade nel mondo e finite nella vetrina di un piccolo negozio del sud in riva al mare. A differenza di molte altre colleghe, non erano particolarmente appariscenti ma possedevano un fascino discreto che le distingueva dalle altre ceramiche del negozio. Si chiamavano Tilly e Potty ma nessuno guardandole ha mai saputo distinguerle.

E’ forse per questo motivo che due ragazze in vacanza le vollero per sé e le comprarono in un assolato pomeriggio di luglio, portandole poi nella loro casa comune al ritorno dalla vacanza. Da quel momento, per le due iniziò un periodo di vita tutto sommato abitudinario, consumato attraverso i consueti riti delle colazioni e del caffè preso dopo pranzo. Le uniche ventate di novità erano costituite dall’occasionale cambio di detersivo o dalla marca di caffè usata.

Tutto questo, giorno dopo giorno, finché le due ragazze si separarono, portate lontano dalle cose della vita, decidendo ognuna di portare con se una tazzina come ricordo. Questo fatto, sebbene importante per gli esseri umani, fu un trauma per le due tazzine che ormai si consideravano sorelle inseparabili. Il giorno della partenza di Tilly costituì per loro un momento di nuova consapevolezza, una rinascita: scoprirono di poter comunicare tra loro nonostante la distanza andasse via via aumentando e, col procedere di questa nuova coscienza, presero a parlarsi come raramente avevano fatto quando erano una accanto all’altra.

Si raccontarono della nuova casa, delle altre colleghe di cucina con cui Tilly era capitata; il suo nuovo mondo era così popolato da bicchieri lucenti tutti impettiti e fieri della propria brillantezza, dalla teiera cicciottella che inventava favole per le tazzine da tè e da un’infinità di altri personaggi tutti da scoprire. Questi racconti facevano sentire meno sola Potty che si doveva accontentare della vita tranquilla di sempre.

Un giorno Tilly perse il proprio piattino. Non si sa come successe, forse uno dei soliti banali incidenti che succedono nelle case. La ragazza, ormai donna si fermò a guardare la scena e una lacrima le scese dagli occhi per il dispiacere di aver rotto un vecchio ricordo; Tilly, sorpresa dal frastuono capì subito cosa fosse capitato e raccolse d’istinto quella lacrima facendola propria.

In quell’istante Potty si svegliò e, scossa da un lungo brivido, capì quello che era successo. Sulle prime sembrava che la cosa non avesse avuto altre conseguenze, ma la mattina dopo le due amiche si svegliarono alla stessa ora e, compiendo gli stessi gesti assonnati, si ritrovarono in cucina a preparare il caffè. Lo versarono contemporaneamente, mescolandolo adagio e, col medesimo gesto, si portarono la tazzina alle labbra.

Dopo un lieve soffio dato sopra pensiero al caffè fumante, bevvero insieme il primo sorso e improvvisamente nelle loro teste si accavallarono pensieri in parte estranei e in parte familiari: voci, ricordi, colori, dolori e sorrisi. Le due amiche si erano ritrovate e da quel momento ebbero un modo in più per stare insieme mentre Tilly e Potty trovarono felici una nuova ragione di vita.

Questa storia me l’ha raccontata una zuccheriera mia amica con la quale sono entrato in confidenza, diventando il suo cucchiaino preferito. Mi ha detto che viene tramandata a tutti i nuovi abitanti della credenza dalla ceramica più anziana per renderli parte della nuova famiglia e mi ha colpito particolarmente perché io, nato in un servizio da dodici cucchiaini schiamazzanti e dispettosi, non ho mai vissuto momenti particolarmente tristi.

Ora però, avendo acquisito con gli anni una certa maturità, inizio a spiegarmi come mai io riesca a sentire piccoli gridolini quando qualche mio fratello viene immerso in un liquido particolarmente caldo o freddo. Ma questa è un’altra storia e ora vi lascio perché insieme ai miei fratelli andiamo tutti a giocare nel parco acquatico.

La signora, riempita la vaschetta di detersivo, chiuse lo sportello, impostò il programma e, acceso l’apparecchio, si allontanò canticchiando. Bella invenzione la lavastoviglie!

Ravioli del Plin

Ci voleva proprio una settimana tranquilla di fine luglio per preparare i Ravioli del plin. Mica si fanno quando si corre, vengono bene solo quando il tempo rallenta e i gesti sono più adatti a maneggiare con cura ingredienti e sfoglia e le dita si possono dedicare a pizzicare la pasta senza farle male.

Il Nonno, piemontese quasi DOC, diceva che ci volevano tre tipi di carne: manzo, pollo e maiale e, nel dirlo, chissà quali scorrerie per la campagna in cerca di amici aveva in mente. Per l’edizione  moderna ripiego, più prosaicamente sulla carne macinata, fettine di pollo e fondino di prosciutto cotto.

In padella salto la carne macinata, il pollo e infine ripasso una manciata di spinaci nel fondo di cottura. Un grande tuffo nel mixer con l’immancabile uovo per il ripieno, un’idea di parmigiano e sale a sentimento e il ripieno è pronto.

E poi il sughetto di verdure appassite a lungo in padella, unite al fondo di cottura della carne, in cui la carota tagliata sottile si intrattiene con il sedano e lo scalogno che, a dispetto del nome, è di grande compagnia; quando le verdure sono adeguatamente appassite, aggiungo una parte della carne macinata, ulteriormente sminuzzata, in modo che verdure e carne facciano conoscenza mescolandosi.

E poi la sfoglia, il ripieno posto in lunga fila e poi avvolto dalla pasta, e ancora i pizzicotti per separare il i fagottini e il taglio che distorce, arrotola e produce forma bizzarra al raviolo che solo a mano può essere fatto a regola.

Tutto questo il Nonno non lo faceva, ci pensava Nonna a volare leggera in cucina. Poi lui, alla fine, portava in tavola un paio di bottiglie di Nebbiolo dalla cantine e diceva: “Abbiamo fatto i ravioli!”, ignorando il sospiro di pazienza della Nonna ancora infarinata e le sue mani profumate di cose buone.

Lo spezzatino

Oggi è la giornata giusta per lo spezzatino con patate, ricetta originale di Nonna, profumi e sapori compresi. Lo so, lo spezzatino non porta con sé quell’aura di gastronomia ricercata e anche le sue immagini ricordano più il brodo primordiale che una pietanza con una propria dignità espressiva ma, non a torto, è un comfort food, avendo la capacità come poche, di riportarti all’infanzia.

Una cottura a fuoco lento che mette insieme carne tagliata accuratamente a pezzettini, puliti e coccolati ad uno ad uno, infarinati e tuffati nel soffritto di battuto, inebriati mentre il vino sfuma e annegati nel brodo di carne che aiuterà la cottura. Le patate arrivano dopo, quando i giochi sembrano fatti e la carne pensa di essere pronta e unica protagonista; invece arrivano loro a sgomitare nella loro crudità, scansando i pezzi morbidi di carne, stufati e intontiti da infiniti giri ogni pochi minuti perché non si intrattengano troppo a lungo con il fondo del tegame. Una manciata di pinoli crea sempre un certo scompiglio quando viene messa in pentola ma poi, un nuovo bicchiere di brodo calma gli ardori e prolunga la cottura.

Alla fine occorre il riposo e, mentre il pane di casa si tosta leggermente, il vino di Piero viene aperto al momento giusto, la musica risuona in testa.