Quando in casa si preparavano i cappelletti significava che si avvicinava la festa. Ormai associo a questo nome strambo un rito antico che si svolgeva in enormi cucine tra madie e tavoli di marmo dei quali superavo a stento l’altezza, ma abbastanza per osservare in volo radente la sfoglia che diventava cappelletto con un gesto elegante e allora misterioso.
Ora quando li preparo mi vengono in mente quei gesti e quasi ricordo mia nonna cantare sotto voce mentre si dedicava alla sua arte. Chissà, forse l’ingrediente segreto è l’allegria di chi cucina. Prendo 3 etti di petto di cappone, li pulisco e taglio in piccoli pezzi per farli cuocere in padella con olio e poco sale e una volta pronti li metto nel mixer insieme a 2 etti e mezzo di prosciutto crudo.
Aggiungo quindi un cucchiaio da cucina di parmigiano reggiano, una spolverata di noce moscata, un uovo e “una punta” di sale. Parte così la preparazione del ripieno che diventa morbido e omogeneo.
A questo punto la sfoglia. L’impasto è quello solito, fatto con 5 uova e 5 etti di farina. Stendo la sfoglia e mi procuro un bicchiere dal bordo sottile con cui inciderla per ricavare i tondini di pasta. Ricordo quello che ho letto sul libro di Pellegrino Artusi. Dice che il diametro deve essere di 67 millimetri. Il mio bicchiere di 5 centimetri si è rivelato comunque all’altezza della situazione.
Con la punta di un cucchiaino prendo un po’ di ripieno e lo posiziono nel centro del dischetto che, dopo averlo piegato a metà, avvolgo attorno al dito mignolo per darli la forma giusta. Occorre pazienza, ma il risultato ripaga del lavoro certosino.
Il brodo, fatto con carne e petto di pollo, crea l’ambiente adatto per la cottura ed esalta la fragranza della pasta e del ripieno.
In tavola, il piatto caldo è accompagnato dal vino. Questa volta, un ardito abbinamento con uno Chablis.