Io, Flavio e il Cioccorì

I viaggi nel tempo esistono. Ne ho avuto la conferma una sera a teatro, ascoltando i racconti di Flavio che parlavano di un De Andrè inedito. O forse no, forse in cuor nostro, da genovesi, lo abbiamo sempre sentito così e il racconto è solo servito a farci immaginare meglio scene che sapevamo appartenerci. E’ stato un susseguirci emozionante di racconti parlati e musicati, merito anche degli arrangiamenti di un Vittorio che con aria sorniona metteva l’anima nella chitarra.

Ho ascoltato il contastorie con un pizzico di invidia e riconoscenza per aver saputo catturare momenti di vita del cantastorie e condividerli con noi in sala, in uno spettacolo che avrebbe potuto continuare all’infinito senza annoiare e svelare nuove storie da raccontare a chi non c’era.

Flavio2

La panchina

Sono sempre stato preso in giro per la mia attrazione verso le panchine. E non è solo una questione di età per la quale queste rappresentano il luogo di riposo ideale. Ci sono panchine che invece rappresentano un’idea del mondo, un modo di vederlo e di essere. 

Si, è vero, a Parigi, con un ginocchio gonfio, sono passato da una panchina all’altra, subendo le ilarità della famiglia che però non considera una cosa: generalmente, le panchine vengono poste in luoghi che valgono la pena di essere osservati; dove occorre dedicare tempo e sguardi.

Dillo a Della

Dillo a DellaTratto dalla rubrica “Dillo a Della” pubblicata sulla rivista Cuori Infranti nel febbraio dello scorso anno:

Ho incontrato su FB un’amica che non incrociavo da tempo e dopo i soliti convenevoli sulla salute e i discorsi britannici sul tempo, le ho fatto i complimenti per il suo compagno xx con cui ho avuto occasione di scambiare qualche parola tempo fa. Le ho detto di averlo trovato più sereno, che nelle sue risposte usa finalmente meno di diecimila parole e che le sue citazioni, alcune autoreferenziali, sono diminuite al punto di risultare inferiori a quelle usate da Umberto Eco nei suoi libri; evidentemente i medici gli hanno trovato la giusta terapia.

In effetti, ho avvertito nel tono di lei un sussulto ma tendo a non dare importanza a queste cose.

Inoltre, proseguo, l’altro ragazzo con cui stavi prima, aspetta, come si chiama…ah, si yy, bravo giovane… ah, dici che ha sessant’anni e non è proprio un ragazzo? Anche se chiede alla mamma di poter uscire? Ma guarda che stranezza… Però, anche tu, andare per il web a raccattare casi umani, rischi di portarti in casa degli storditi!

Improvvisamente lei si ricorda perché “non ci sentiamo da tempo” e mi saluta frettolosamente dileguandosi in una nuvola di bit. Non mi ha neanche lasciato il tempo di chiederle chi avesse conosciuto recentemente, magari qualcuno con cui giocare… poi ho l’intuizione: e se io fossi stato a mia volta raccattato da lei, sarei a mia volta un caso umano?