Cappelletti in brodo

Cappelletti in brodoQuando in casa si preparavano i cappelletti significava che si avvicinava la festa. Ormai associo a questo nome strambo un rito antico che si svolgeva in enormi cucine tra madie e tavoli di marmo dei quali superavo a stento l’altezza, ma abbastanza per osservare in volo radente la sfoglia che diventava cappelletto con un gesto elegante e allora misterioso.

Ora quando li preparo mi vengono in mente quei gesti e quasi ricordo mia nonna cantare sotto voce mentre si dedicava alla sua arte. Chissà, forse l’ingrediente segreto è l’allegria di chi cucina. Prendo 3 etti di petto di cappone, li pulisco e taglio in piccoli pezzi  per farli cuocere in padella con olio e poco sale e una volta pronti li metto nel mixer insieme a 2 etti e mezzo di prosciutto crudo.

Aggiungo quindi un cucchiaio da cucina di parmigiano reggiano, una spolverata di noce moscata, un uovo e “una punta” di sale. Parte così la preparazione del ripieno che diventa morbido e omogeneo.

A questo punto la sfoglia. L’impasto è quello solito, fatto con 5 uova e 5 etti di farina. Stendo la sfoglia e mi procuro un bicchiere dal bordo sottile con cui inciderla per ricavare i tondini di pasta. Ricordo quello che ho letto sul libro di Pellegrino Artusi. Dice che il diametro deve essere di 67 millimetri. Il mio bicchiere di 5 centimetri si è rivelato comunque all’altezza della situazione.

Con la punta di un cucchiaino prendo un po’ di ripieno e lo posiziono nel centro del dischetto che, dopo averlo piegato a metà, avvolgo attorno al dito mignolo per darli la forma giusta. Occorre pazienza, ma il risultato ripaga del lavoro certosino.

Il brodo, fatto con carne e petto di pollo, crea l’ambiente adatto per la cottura ed esalta la fragranza della pasta e del ripieno.

In tavola, il piatto caldo è accompagnato dal vino. Questa volta, un ardito abbinamento con uno Chablis.

L’uomo che ascolta i sogni

L'uomo che ascolta i sogniL’Uomo che ascolta i sogni si svegliò che era ancora buio con un nuovo pensiero regalatogli dalla notte: era un pensiero che profumava di mosto e legna arsa. Finalmente si è levato il Vento di Mezzanotte, pensò l’uomo chiudendo nuovamente gli occhi per non perdere l’immagine appena creata, un gesto abituale per fare sua un’idea catturata in quel mondo ineffabile al di là dei sensi che una mente allenata riesce a districare dal rumore dei mille pensieri.

Il sogno è una perla da cogliere, non importa se sia premonizione o suggestione, se combini esperienze e desideri del sognatore e l’Uomo che ascolta i sogni è un attento raccoglitore di perle; ha iniziato da piccolo con le fantasie da bambino e negli anni ha scoperto che il Vento di Mezzanotte, quando entra nella camera durante la mezza stagione porta con sé le storie migliori.

Così, insieme al mosto arrivò anche l’immagine di una vecchia cantina, i tini ripieni, i fiaschi allineati le damigiane impagliate, la cantabruna che attende paziente il suo momento. E il vento portò anche una voce di donna che canta e il sorriso del vecchio che la stava ad ascoltare rapito sognando di spillare il mosto con lei.

“Andrea, è pronto, vieni!”. Il canto si interrompe, sostituito dalla voce squillante che distoglie il vecchio dalle proprie fantasie e lo riporta al motivo per cui era sceso in cantina: prende una bottiglia particolare, affidando la scelta alla mano e all’istinto e risale in cucina dove ad attenderlo è un profumo di farina e uova reso leggermente acre dall’odore del ronfò acceso. A tratti si avvertiva anche un prorompente profumo del tocco che boffonchiava nella terracotta da ore.

Il vecchio prese una sedia impagliata sua coetanea e, sedendosi lentamente, iniziò a occuparsi della bottiglia, coccolandola e preparandola a essere stappata, come se per le bottiglie questo costituisse un trauma. Il cavatappi fu delicato col sughero e il piccolo suono che produsse fece voltare la signora che si sedette vicino al vecchio asciugandosi le mani nel grembiule.

Lui riempì due bicchieri con gesto lento, osservando il vino rubino che formava mulinelli scendendo. Porse un bicchiere alla Signora che canta incrociandone lo sguardo e insieme bevvero un sorso mentre l’Uomo che ascolta i sogni riaprì gli occhi e sorrise.

Barcellona e sangrie

Barrio goticoBarcellona 1975. Agosto caldo e sonnolento. Montata la canadese e sistemato lo zaino e le altre  poche cose mi ritrovo con gli amici in un locale indefinibile a tarda sera lungo una strada di periferia percorsa in prevalenza da camion. In compagnia di un olandese vicino di tenda che gira l’Europa in bicicletta già da un mese, sono seduto ad un tavolino all’esterno per cogliere un minimo d’aria e gusto una sangria fresca accompagnata da un piatto spropositato di patatine fritte.

Si avvicina a noi uno strano personaggio, evidentemente abituale frequentatore del posto, con un’andatura sbandata di venti gradi come una nave mal caricata e un colorito che fa il paio con le nostre bevande. Dopo aver proferito parole in una lingua solo lontanamente imparentata con lo spagnolo, si rivolge a noi e ci fa capire che il nostro vino è per dilettanti. Lui sì, che sa come beve un uomo! E a garanzia di quanto detto ci snocciola il suo decalogo del bevitore:

  1. Emborrachado
  2. Muy emborrachado
  3. Negaciòn  de la evidenzia
  4. Insulto al clero
  5. Apoteosis final !

Detto ciò si allontana, ritto come un fuso, con un’espressione che solo i filosofi sanno manifestare dopo una profonda lezione di vita. Noi, ancora rapiti da quelle parole, torniamo alle nostre sangrie che improvvisamente ci sembrano diventate acqua minerale.

SagradaLa mattina dopo inizio l’esplorazione della città: prima la Sagrada Familia che vista con gli occhi di un ventenne assomiglia ad un incubo, come se Gaudì l’avesse immaginata dopo una notte di sangria e paella in dosi industriali. Salgo su una guglia in preda a claustrofobia e vertigini per l’assenza di protezioni in corrispondenza dei varchi lungo i percorso.

 

 

StalleProseguo poi verso il centro passando accanto alla plaza de toros dove mi infilo in un vialetto che porta alle stalle dove incontro i maniscalchi che stanno preparando i loro attrezzi e alcuni cavalli pronti per essere ferrati.

Quel giorno niente corrida ma solo preparativi, ma non penso che sarei andato a vedere un simile spettacolo anche se il fascino scatenato dai racconti di Hemingway era tentatore.

BatllòPasso poi per il Paseo de Gràcia e mi faccio venire le vertigini incontrando Casa Batllò che rafforza il mio giudizio nei confronti dell’architetto e poi giù verso il Barrio Gotico e le sue viuzze fino alla cattedrale tetra e spettacolare dove, nella fretta di scattare una foto, mi cade a terra la macchina fotografica ponendo fine al mio modesto reportage.

 

 

ChitarraMi consolo nella Rambla dove in un negozietto angusto acquisto la mia prima chitarra classica per una cifra abbordabile per uno studente dell’epoca ma modesta ai giorni odierni e torno infine in campeggio per gustarmi lo strumento confidando nella clemenza dei vicini di tenda. Non ho un ricordo organico del mio viaggio, solo alcune immagini rese più vivide dalle poche fotografie che all’epoca potevo scattare. Si trattava del primo viaggio all’estero da solo e dovevo ancora affinare la sensibilità del viaggiatore. Scoprivo le cose a mano a mano che mi venivano incontro e spesso non ero preparato a capire che cosa vedessi. Probabilmente è stato una sorta di viaggio iniziatico e, nonostante la sua semplicità ed evidente superficialità, ha  dato il via al piacere di viaggiare che mi accompagna ancora adesso.

Nota:

Fa quasi tenerezza vedere le foto fatte in un’altra epoca, le prime mai scattate e per le quali ho sottratto la macchina fotografica a mia madre. Sapeste gli ululati quando l’ho riportata a casa rotta… Ora, con un qualsiasi telefono, chiunque può scattare foto meravigliose ma, all’epoca, per ottenere qualcosa di buono occorreva percorrere una lunga strada disseminata di errori. Ecco: metto in mostra le mie vecchie foto sgangherate perché è da quelle che sono partito e sono quindi parte di me.