I Canti di Genova

Se Chatwin avesse visitato Genova avrebbe scritto “I Caruggi e i Canti”. I canti australiani che lo hanno ispirato evocano nei vecchi abitanti di Genova altri significati altrettanto poetici cui vanno con la memoria ogni volta che ne sentono il nome. Ormai più luoghi della mente in cui ritrovare la propria storia che gli angoli della vecchia città in cui si ritrovavano da giovani.

CantiOggi la mia fantasia di viaggiatore percorre Strada Nuova con lo sguardo rivolto verso l’alto e guarda la Meridiana per orientarsi nel tempo. Poi sente l’odore del mare e imbocca la discesa trovando i Canti, la Posta Vecchia, la Pellicceria e le Vigne fino al Coro.

Sono tutti nomi di un altro tempo in cui i genovesi vivevano la propria città vecchia fatta di vicoli angusti e palazzi augusti; oggi, imboccando via ai Quattro Canti di S.Francesco da piazza della Meridiana troviamo un lastricato pulito e i dehors di vecchi locali rinnovati, ma quando il vicolo si restringe restano i canti, gli angoli, che nel nome e nel ricordo portano con se una serena musicalità.

VicoliLa luce filtra a fatica tra le case e si perde illuminando prima i vasi da fiori appesi alle finestre, i panni stesi tra un palazzo e l’altro e gli affreschi dei piani alti; oggi questi vicoli non odorano più di emarginazione ed abbandono, i turisti si aggirano con la cartina in mano districandosi in una selva di impalcature erette per le innumerevoli ristrutturazioni.

A ridosso del mare, tra le Vigne e S.Giorgio si assiste ad una invasione culturale che ha scalzato le vecchie attività commerciali storiche a favore delle nuove esigenze e tendenze degli abitanti di oggi che domani già si sposteranno altrove lasciando spazio a nuovi abitanti come è nelle caratteristiche delle città di mare.

I canti restano gli stessi nonostante gli echi di lingue diverse, il dialetto genovese è presente solo nei vecchi intonaci dei palazzi e nei marmi ed ardesie che ornano gli imponenti portoni patrizi. Per chi vi si aggira senza meta resta lo stupore che prende l’anima quando, dopo aver percorso con circospezione un vicolo buio, questo sfocia in una piazzetta assolata su cui si affacciano palazzi di una bellezza da piangere.

Si scoprono così in Pellicceria la Galleria Spinola, in piazza delle Vigne una chiesa stupenda e piccoli particolari dietro al Coro delle Vigne dove in un chiostro nascosto è nato lo scoutismo italiano.

E la sorpresa è destinata a durare perché nonostante il tempo dedicato a questa scoperta, ci si rende conto di aver esplorato solo una piccolissima parte della storia di Genova.

Ravioli del Plin

Ci voleva proprio una settimana tranquilla di fine luglio per preparare i Ravioli del plin. Mica si fanno quando si corre, vengono bene solo quando il tempo rallenta e i gesti sono più adatti a maneggiare con cura ingredienti e sfoglia e le dita si possono dedicare a pizzicare la pasta senza farle male.

Il Nonno, piemontese quasi DOC, diceva che ci volevano tre tipi di carne: manzo, pollo e maiale e, nel dirlo, chissà quali scorrerie per la campagna in cerca di amici aveva in mente. Per l’edizione  moderna ripiego, più prosaicamente sulla carne macinata, fettine di pollo e fondino di prosciutto cotto.

In padella salto la carne macinata, il pollo e infine ripasso una manciata di spinaci nel fondo di cottura. Un grande tuffo nel mixer con l’immancabile uovo per il ripieno, un’idea di parmigiano e sale a sentimento e il ripieno è pronto.

E poi il sughetto di verdure appassite a lungo in padella, unite al fondo di cottura della carne, in cui la carota tagliata sottile si intrattiene con il sedano e lo scalogno che, a dispetto del nome, è di grande compagnia; quando le verdure sono adeguatamente appassite, aggiungo una parte della carne macinata, ulteriormente sminuzzata, in modo che verdure e carne facciano conoscenza mescolandosi.

E poi la sfoglia, il ripieno posto in lunga fila e poi avvolto dalla pasta, e ancora i pizzicotti per separare il i fagottini e il taglio che distorce, arrotola e produce forma bizzarra al raviolo che solo a mano può essere fatto a regola.

Tutto questo il Nonno non lo faceva, ci pensava Nonna a volare leggera in cucina. Poi lui, alla fine, portava in tavola un paio di bottiglie di Nebbiolo dalla cantine e diceva: “Abbiamo fatto i ravioli!”, ignorando il sospiro di pazienza della Nonna ancora infarinata e le sue mani profumate di cose buone.

Momenti di gloria

Mi è capitata tra le mani questa foto scattata tempo fa in occasione di un incontro genovese con il tenore Armiliato, mio compagno di liceo, tenuto presso la libreria Feltrinelli. Al di là del piacevole incontro personale, mi riporta alla mente quel pomeriggio in cui un certo numero di persone erano riunite nella sala dedicata agli incontri con autori o artisti. Quando sono arrivato, ho notato che la sala era quasi piena ma che alcuni posti erano ancora disponibili dalla parte opposta all’entrata.

L’incontro avrebbe dovuto essere presentato da un direttore d’orchestra e da un altro personaggio di cui non ricordo il ruolo, probabilmente uno scrittore appassionato di lirica. Ebbene, quando penso sia arrivato il momento di prendere posto, mi sono inoltrato nella sala con aria sicura, un lieve sorriso accennato e un plateale disinteresse per chiunque sia presente, puntando solo la poltroncina che avevo eletto come mio trono.

Faccio un passo e cala il silenzio. Faccio un secondo passo e inizia uno brusio in sala. Al terzo passo iniziano gli applausi di benvenuto e quasi tutti i presenti mi fissano con ammirazione manifestando il loro apprezzamento. Io continuo con i miei passi, visto che mi sono venuti bene e, invece di raggiungere il palchetto, mi dirigo verso l’agognata poltroncina.

Mi sono seduto e solo in quel momento mi sono guardato in giro e ho visto persone dall’aria smarrita che cercavano di riprendere un contegno guardando ovunque tranne che verso di me, fuggendo da una cantonata clamorosa in cui avevano scambiato me per chissà quale personaggio.

La gloria è durata poco ma me la sono goduta tutta. Fabio (Armiliato) è arrivato subito dopo trafelato perché, avendo sentito gli applausi, pensava di essere in ritardo all’appuntamento ma l’ho tranquillizzato: non gli avrei più rubato la scena.