Ci voleva proprio una settimana tranquilla di fine luglio per preparare i Ravioli del plin. Mica si fanno quando si corre, vengono bene solo quando il tempo rallenta e i gesti sono più adatti a maneggiare con cura ingredienti e sfoglia e le dita si possono dedicare a pizzicare la pasta senza farle male.
Il Nonno, piemontese quasi DOC, diceva che ci volevano tre tipi di carne: manzo, pollo e maiale e, nel dirlo, chissà quali scorrerie per la campagna in cerca di amici aveva in mente. Per l’edizione moderna ripiego, più prosaicamente sulla carne macinata, fettine di pollo e fondino di prosciutto cotto.
In padella salto la carne macinata, il pollo e infine ripasso una manciata di spinaci nel fondo di cottura. Un grande tuffo nel mixer con l’immancabile uovo per il ripieno, un’idea di parmigiano e sale a sentimento e il ripieno è pronto.
E poi il sughetto di verdure appassite a lungo in padella, unite al fondo di cottura della carne, in cui la carota tagliata sottile si intrattiene con il sedano e lo scalogno che, a dispetto del nome, è di grande compagnia; quando le verdure sono adeguatamente appassite, aggiungo una parte della carne macinata, ulteriormente sminuzzata, in modo che verdure e carne facciano conoscenza mescolandosi.
E poi la sfoglia, il ripieno posto in lunga fila e poi avvolto dalla pasta, e ancora i pizzicotti per separare il i fagottini e il taglio che distorce, arrotola e produce forma bizzarra al raviolo che solo a mano può essere fatto a regola.
Tutto questo il Nonno non lo faceva, ci pensava Nonna a volare leggera in cucina. Poi lui, alla fine, portava in tavola un paio di bottiglie di Nebbiolo dalla cantine e diceva: “Abbiamo fatto i ravioli!”, ignorando il sospiro di pazienza della Nonna ancora infarinata e le sue mani profumate di cose buone.